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Analisi molto interessante. A me però viene una domanda: perché questa riflessione e rivoluzione deve venire dal PD? Che si distruggesse il PD e si mettesse in piedi qualcosa di diverso, mosso proprio da persone come lei che parlano di produttività, concorrenza e qualità dell'istruzione. Che si ripartisse da questi concetti per "fermare il declino italiano" (giusto per citare un vecchio progetto promettente e molto attuale).

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Perché il Pd ha accompagnato gran parte della mia breve esperienza politica, perché ha al proprio interno una componente profondamente riformista, perché stimo molto persone come Graziano Delrio, perché ho maturato una sfiducia profonda sia in Renzi che in Calenda. Poi se il Pd rimarrà incastrato nella visione massimalista di Schlein e di tanti altri, auguri. Porterò il mio voto altrove, sempre che quell’altrove sia in futuro molto meglio dell’esistente. Grazie per il commento

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L'articolo offre un'analisi dettagliata delle sfide interne al PD, ma manca una critica alle basi ideologiche del nostro sistema economico.

Le strutture sociali e culturali italiane influenzano profondamente sia la politica che l'economia. Il mantenimento del potere a breve termine ostacola l'innovazione e la visione a lungo termine.

Un vero rinnovamento del PD richiederebbe un cambiamento radicale che superi la semplice inclusione di giovani e realtà locali (sacrosanta e condivisibile - ovviamente), puntando su politiche che promuovano la creatività e il benessere collettivo. Inoltre, un confronto con modelli internazionali di successo, come quelli nordici, potrebbe offrire spunti preziosi.

Infine, sarebbe utile considerare l'influenza delle multinazionali e la concentrazione della ricchezza, che complicano l'attuazione di politiche efficaci.

Solo attraverso una comprensione più ampia e profonda delle dinamiche economiche e sociali il PD potrà realmente rinnovarsi e affrontare le sfide future.

Detto ciò, ho apprezzato la lettura, ha offerto alcuni buoni spunti!

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Buongiorno,

complimenti per la lucidità dell’esposizione e la chiarezza dei contenuti.

Il tema centrale è se una forza di governo che possa definirsi con tali ambizioni possa eludere queste riflessioni e poi non pagarne un prezzo.

Certo i tempi della politica e quelli del fare sono quasi inconciliabili ed immaginare che una riforma, qualsiasi ma seria, abbia il tempo necessario per diventare meccanismo efficiente ed efficace è un puro ologramma.

Il ragionamento breve che vorrei proporre si basa su due focus ineludibili per me.

Il primo la Sardegna e l’operatività delle sue istituzioni e il secondo il mio mestiere che da quarant'anni è quello del bibliotecario.

Si dirà che si scende troppo sul particolare e sul personale ma ribatto che dal particolare si valuta l’efficacia e che preferisco parlare di quello che so e maneggio. Dunque la cultura o, nella sua accezione più accreditata nelle valutazioni econometriche e di pianificazione, la creatività.

Un comparto che in Italia ha più occupati di quello dei trasporti e produce una bella fetta di PIL.

In Sardegna abbiamo numeri simili con la considerazione decisiva che essere sardi vuol dire per tutti tutelare e vivere spesso con difficoltà e smarrimento la liquidità del concetto stesso di cultura sarda che comunque, nella sua accezione iconica è sensibile ed interiorizzata da tutti noi.

Che il PD, intendo quello sardo, si occupi di produttività stagnante nel settore cultura magari per attualizzare le politiche domenicane di investimenti sul welfare sociale e culturale è un’ipotesi che lo stesso PD sardo non ha preso in considerazione, almeno a mia memoria e mi scuso se dovessi sbagliare, assumendo la responsabilità dell’Assessorato Regionale che, avendo competenze anche sull’Istruzione, sembrerebbe la macchina amministrativa ideale per dare corpo a riflessioni di “ragion pura” su fini e mezzi.

La funzione centrale che un sistema di wellness culturale, come a Santo Domingo sembra abbiano capito, assicura nella gestione del cambiamento e dell’innovazione è fondamentale perché l’innovazione è sempre in prima battuta una questione personale di attivazione di conoscenza e consapevolezza: quella che le imprese chiamano Area Ricerca e Sviluppo destinata agli investimenti e all'incremento della produzione e della produttività.

Se poi consideriamo che i finanziamenti diretti all’occupazione nel settore cultura, precaria per la verità, della RAS costituiscono mediamente l’80% dell’investimento totale e ci aggiungiamo che le Biblioteche, gli Archivi, i Musei sono quasi tutti di proprietà pubblica e che sono diffusi sul territorio in maniera capillare (340 biblioteche comunali aperte in 377 comuni) ci appare un quadro di tale centralità anche nella politica regionale che richiede una luce sulla scelta del PD di non occuparsi direttamente di tali questioni pur avendo storia e risorse per provarci con entusiasmo.

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